«Noi siamo qui per ascoltare con attenzione i problemi di tutti. Ma non deve passare l’idea che dietro ogni grande opera ci sia qualche cosa di oscuro, pericoloso o legato al malaffare». Era un Luca Zaia teso in volto quello che ieri ad Altivole nel Trevigiano rispondeva ai cronisti poco dopo la movimentata inaugurazione di un cantiere della Pedemontana Veneta. Il governatore leghista della Regione Veneto, lontano dalla baldanza per l’avvio dei primi cantieri della Spv dello scorso anno, ieri aveva stampate negli occhi non solo le durissime proteste dei contrari all’opera, non solo le accuse politiche legate ai recenti scandali di portata nazionale che hanno colpito la sua amministrazione, ma anche il dossier che da alcune settimane è, o sarebbe, sulla sua scrivania.
Un dossier redatto dagli uffici tecnici della Regione in cui nero su bianco sta scritto che per quanto riguarda la grande superstrada che connetterà Spresiano nella Marca a Montecchio Maggiore nel Vicentino, c’è una grana ambientale proprio nell’ultimo tratto, quello berico, o meglio quello in valle dell’Agno nella zona di Trissino. Secondo il monito che arriva o arriverebbe dagli uffici, il tracciato della Spv che in Valleagno va in galleria o in trincea, andrebbe letteralmente a cozzare con una vasta porzione del sottosuolo in cui sono presenti in grande quantità alcune sostanze estremamente pericolose, i pfoa, risultato degli scarti della decennale lavorazione che a Trissino fu della Rimar-Marzotto ora Miteni, della multinazionale Icig (la questione è esplosa a cavallo fra il 2013 e il 2014 con tanto di inchiesta della magistratura). Presenza che obbligherebbe ad uno spostamento del tracciato pur a fronte di un progetto dell’opera che oramai si è avviata sul binario esecutivo.